San Luigi Versiglia Vescovo e martire
Oliva Gessi, Pavia, 5 giugno 1873 – Li Thau Tseui, Cina, 25 febbraio 1930
Il vescovo Luigi Versiglia, salesiano, è uno dei 120 martiri della Cina canonizzati da Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000. Nato nel 1873 a Oliva Gessi, in provincia di Pavia, conobbe personalmente don Bosco. Ordinato sacerdote nel 1895, fu per dieci anni maestro dei novizi nella Casa salesiana di Genzano. Fin da giovanissimo portava nel cuore il desiderio di partire missionario. Così nel 1906 fu scelto come capogruppo dei primi missionari salesiani in partenza per la Cina. Visse il suo apostolato prima a Macao e poi nella regione del Kwangtung, nel Sud della Cina, dove fondò la missione di Shiu Chow di cui nel 1920 divenne vicario apostolico e primo vescovo. Mentre la Cina sprofondava sempre più nella guerra civile, verso la fine del gennaio 1930 si mise in viaggio assieme al giovane confratello don Callisto Caravario (anche lui nel gruppo dei 120 martiri) per raggiungere i cristiani della piccola missione di Lin-Chow. Furono uccisi insieme da un gruppo di banditi il 25 febbraio 1930. (Avvenire)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sulle rive del fiume Beijang vicino alla città di Shaoguan nella provincia del Guandong in Cina, santi martiri Luigi Versiglia, vescovo, e Callisto Caravario, sacerdote della Società Salesiana, che subirono il martirio per aver dato assistenza cristiana alle anime loro affidate.
Fra i martiri canonizzati il 1° ottobre dell’anno giubilare del 2000, papa Giovanni Paolo II ha proclamato santi due membri della Famiglia Salesiana, monsignor Luigi Versiglia e padre Callisto Caravario, che insieme furono assassinati dalla furia dei briganti, che odiavano i missionari.
Luigi Versiglia nacque il 5 giugno 1873 a Oliva Gessi, in provincia di Pavia; a 12 anni venne mandato a Torino a studiare alla scuola di san Giovanni Bosco, il quale, in un fugace incontro nel 1887, gli disse: «Vieni a trovarmi ho qualcosa da dirti», ma don Bosco non potè più parlare con Luigi perché si ammalò e morì. Il giovane era legatissimo alla figura di don Bosco, tanto che, per rispondere alla chiamata vocazionale, decise a 16 anni di emettere i voti religiosi nella congregazione dei Salesiani.
Dopo aver completato gli studi superiori, frequentò la Facoltà di Filosofia all’Università Gregoriana di Roma e le ore libere le trascorreva fra i giovani. Venne ordinato sacerdote nel 1895 a soli 22 anni. L’anno dopo fu nominato direttore e maestro dei novizi nella Casa di Genzano di Roma, carica che tenne per dieci anni, durante i quali si distinse per le notevoli capacità formative sui futuri sacerdoti.
Fin dal principio la sua aspirazione era quella di raggiungere le missioni per portare Cristo ai popoli, aspirazione che si realizzò a 33 anni, diventando il responsabile dei primi Salesiani che nel 1906, con coraggio e fede indomita, partirono alla volta della lontanissima, per quei tempi molto più di oggi, nazione cinese.
Padre Versiglia si stabilì a Macao dove fondò la Casa Madre dei Salesiani, che divenne un attivo centro di apostolato e di fede per tutti i cattolici della città e dove il missionario si occupò con grande amore dei bambini soli. Nella città era da tutti conosciuto come il «padre degli orfani».
Aprì la missione di Shiu Chow nella regione del Kwangtung, nel sud della Cina, della quale nel 1920 venne nominato e consacrato primo vescovo e Vicario Apostolico. Fu un vero pastore, completamente dedito ai fedeli e nonostante le molte difficoltà, in un tempo di gravi tensioni sociali e politiche, che culmineranno con la nascita della nuova Repubblica cinese, il Vescovo riuscì a dare una solida struttura alla diocesi, realizzando un seminario, alcune case di formazione, delle residenze, un orfanotrofio, scuole, casa di riposo per anziani e lavorando notevolmente nell’opera catechistica. Monsignor Versiglia fu un vero maestro, padre e pastore dall’enorme anima caritatevole, un punto di riferimento sia per i sacerdoti salesiani che per i cinesi, nel quale riconoscevano la dedizione totale e disinteressata.
Intanto la situazione politica in Cina era alquanto agitata: la nuova Repubblica Cinese, nata il 10 ottobre 1911, con il generale Chang Kai-shek, aveva riportato all’unità la Cina, sconfiggendo nel 1927 i signori della guerra che tiranneggiavano varie regioni. Ma la pesante infiltrazione comunista nella nazione e nell’esercito, sostenuta dall’Unione Sovietica di Stalin, aveva persuaso il generale ad appoggiarsi alla destra e a dichiarare fuori legge i comunisti (aprile 1927), avviando così una feroce guerra civile.
La provincia di Shiu-Chow di monsignor Luigi Vermiglia era territorio di fitto passaggio e di sosta dei vari gruppi combattenti, perciò divennero frequenti i furti e le violenze perpetrate anche ai danni di coloro che venivano definiti «diavoli bianchi», cioè i missionari, amati dalla gente più povera, che spesso trovava, proprio nelle Missioni, il rifugio da ladri, assassini e dai loro saccheggi. I più temibili erano i pirati e la soldataglia comunista, per la quale la distruzione del Cristianesimo era un dovere programmato. In questo contesto di terrore, le attività missionarie subirono un forte danno, soprattutto quando si trattava di spostasi nei vari e sparsi villaggi: le catechiste e le maestre non si mettevano in viaggio se non accompagnate dai missionari; d’altronde per il pericolo incombente sia sulle vie di terra che sui fiumi, il Vescovo Luigi Versiglia non aveva più potuto visitare i cristiani della missione di Lin-Chow (villaggio di 40 mila abitanti, devastato dalla guerra civile), composta da due piccole scuole e duecento fedeli,
Tuttavia, verso la fine del gennaio 1930, il Vescovo, dopo molta attesa, decise di partire per non lasciare più solo il suo piccolo gregge, affidandosi unicamente alla volontà di Dio.
Autore: Cristina Siccardi
Il 1° ottobre del 2000, papa Giovanni Paolo II ha solennemente canonizzato ben 120 martiri in Cina, di cui sei vescovi, un buon numero di sacerdoti missionari di vari Ordini religiosi, alcune suore e un sostanzioso numero di fedeli cinesi.
I martiri testimoniarono con il loro sangue la fedeltà a Cristo e alla sua religione, in varie epoche e in vari luoghi dell’immenso Impero asiatico, a partire dal 1648 e fino al XX secolo.
Fra loro vi sono due componenti della grande Famiglia Salesiana, mons. Luigi Versiglia e padre Callisto Caravario, che insieme furono uccisi dalla furia di bande di briganti, contrari ai missionari.
In questa scheda parliamo solo del vescovo Versiglia, per padre Caravario (1903-1930), esiste una scheda propria.
Luigi Versiglia nacque il 5 giugno 1873 a Oliva Gessi (Pavia); a 12 anni venne mandato a Torino a studiare da don Bosco, il quale in un fugace incontro nel 1887, gli disse: “Vieni a trovarmi ho qualcosa da dirti”, purtroppo la successiva malattia e la morte del santo, impedì quel colloquio, ma l’adolescente Luigi ne rimase comunque conquistato.
A 16 anni emise i voti religiosi diventando un Salesiano; dopo aver completato gli studi superiori, frequentò la Facoltà di Filosofia all’Università Gregoriana di Roma, trascorrendo le ore libere fra i giovani; fu ordinato sacerdote ad appena 22 anni nel 1895.
Ma già nell’anno successivo fu nominato direttore e maestro dei novizi nella Casa di Genzano di Roma, carica che tenne per dieci anni, dimostrandosi un accorto e adeguato formatore di futuri sacerdoti.
Ma la sua aspirazione fin dalla giovinezza, erano le Missioni e quindi diventò a 33 anni il capogruppo dei primi salesiani, che nel 1906 partirono per la Cina.
Esplicò il suo apostolato a Macao dove stabilì la ‘Casa madre’ dei salesiani, facendola diventare un centro di fede per tutti i cattolici della città; venne chiamato ‘padre degli orfani’.
Aprì la missione di Shiu Chow nella regione del Kwangtung nel sud della Cina, della quale nel 1920 è nominato e consacrato primo vescovo e Vicario Apostolico.
Fu un vero pastore tutto dedito al suo gregge e pur tra tante difficoltà, in quei tempi di gravi tensioni sociali e politiche, che investirono anche le Missioni cattoliche, egli diede al Vicariato una solida struttura con un seminario, case di formazione, residenze, orfanotrofio, scuole, ricoveri per anziani, moltiplicando le opere catechistiche.
Si dimostrò più un padre che uomo di autorità, dando l’esempio del lavoro e della carità, sempre conforme alla valutazione delle reali forze dei confratelli.
Intanto la situazione politica in Cina non era tranquilla, la nuova Repubblica Cinese nata il 10 ottobre 1911, con il generale Chang Kai-shek, aveva riportato all’unità la Cina, sconfiggendo nel 1927 i ‘signori della guerra’ che tiranneggiavano varie regioni.
Ma la pesante infiltrazione comunista nella nazione e nell’esercito, sostenuta da Stalin, aveva persuaso il generale ad appoggiarsi alla destra e a dichiarare fuori legge i comunisti (aprile 1927), per questo la guerra civile era ricominciata.
La provincia di Shiu-Chow posta tra il Nord e il Sud era luogo di passaggio o di sosta dei vari gruppi combattenti fra loro e quindi erano usuali, furti, incendi, violenze, delitti, sequestri.
Era pure difficile distinguere in queste bande che saccheggiavano, i soldati sbandati, i mercenari, i killer prezzolati, i pirati che approfittavano del caos.
In quei tristi tempi anche gli stranieri rischiavano la vita e venivano classificati con disprezzo “diavoli bianchi”; i missionari erano in genere amati dalla gente più povera e le Missioni diventavano il rifugio nei momenti di saccheggio, ma i più temibili erano i pirati, che non avevano riguardo per nessuno e i soldati comunisti, per i quali la distruzione del Cristianesimo era un loro programma.
Per questo negli spostamenti necessari per le attività missionarie nei vari e sparsi villaggi, i catechisti e le catechiste, le maestre e le ragazze, non si mettevano in viaggio se non accompagnate dai missionari; d’altronde per il pericolo incombente sulle vie di terra e sui fiumi, anche il vescovo Luigi Versiglia non aveva potuto fino allora visitare i cristiani della piccola missione di Lin-Chow composta da due scuolette e duecento fedeli, nella devastata città di 40mila abitanti, turbata dalla guerra civile.
Ma verso la fine di gennaio 1930 si convinse che bisognava partire, senza aspettare più che le vie fossero sicure, affidandosi alla volontà di Dio; ai primi di febbraio giunse al centro salesiano di Shiu-Chow il giovane missionario don Callisto Caravario di 26 anni, responsabile della missione di Lin-Chow, per accompagnare il Vicario Versiglia nel viaggio.
Fatti i rifornimenti, sia per il viaggio previsto di otto giorni, sia per i bisogni della piccola missione, all’alba del 24 febbraio ci fu la partenza in treno del gruppo, composto da mons. Versiglia, padre Caravario, due giovani maestri diplomati all’Istituto Don Bosco, uno cristiano l’altro pagano, le loro due sorelle Maria di 21 anni maestra e Paola 16 anni che lasciati gli studi tornava in famiglia, inoltre la catechista Clara di 22 anni.
Dopo una sosta notturna alla Casa Salesiana di Lin-kong-how, s’imbarcarono il 25 febbraio sulla barca che doveva risalire il fiume Pak-kong, fino a Lin-Chow dalla piccola comunità di don Caravario; al gruppo si aggiunse un’anziana catechista che doveva affiancare la più giovane Clara e un ragazzo di 10 anni, che si recava alla scuola di don Caravario.
La grossa barca era condotta da quattro barcaioli e risalendo il fiume verso mezzogiorno, avvistarono sulla riva, dei fuochi ravvivati da una decina di uomini; giunti alla loro altezza essi intimarono alla barca di accostare e fermarsi.
Chiesero ai barcaioli, puntando fucili e pistole, chi trasportavano e saputo che si trattava del vescovo e di un missionario, dissero: “Non potete portare nessuno senza la nostra protezione. I missionari devono pagarci 500 dollari o vi fucileremo tutti”.
Pagare un pedaggio lungo i fiumi, era diventata una triste abitudine, ma 500 dollari era una cifra che nessuno portava in un viaggio.
I missionari allora cercarono di far capire loro che non possedevano tanto denaro, ma i pirati saltarono sulla barca e la esplorarono; scorsero le ragazze rifugiate in quella specie di baracca situata a poppa della barca, allora esclamarono: “Portiamo via le loro mogli!”.
I missionari ribatterono che non erano loro mogli, ma alunne che venivano accompagnate a casa, nel contempo con i loro corpi cercavano di bloccare l’entrata della baracca. I pirati allora minacciarono di dar fuoco alla barca, prendendo fascine di legna da una vicina barca, ma la legna era fresca e non si accendeva subito, nel mentre i missionari riuscivano a soffocare le prime fiamme.
Infuriati i pirati presero dei rami più grossi dalle fascine e bastonarono i due missionari, dopo molti minuti il cinquantasettenne vescovo cadde e dopo qualche minuto anche don Caravario; a questo punto i malviventi si avventarono sulle donne trascinandole sulla riva fra i loro disperati pianti.
Anche i due missionari furono portati a terra, i barcaioli con l’anziana catechista, il ragazzo e i due fratelli delle donne, furono lasciati liberi di proseguire, una volta giunti alla tappa precedente furono avvisati i missionari del luogo e le autorità, che mandarono drappelli di soldati.
Ma intanto sulla riva del fiume si consumava la tragedia, i due salesiani legati si confessarono a vicenda, esortando le tre ragazze ad essere forti nella fede, poi i pirati li fecero incamminare per una stradetta lungo il corso del Shiu-pin, piccolo affluente del Pak-kong, nella zona di Li Thau Tseui; il vescovo Versiglia li implorò: “Io sono vecchio, ammazzatemi pure. Ma lui è giovane risparmiatelo!”.
Le donne mentre venivano spinte verso una pagoda, udirono cinque colpi di fucile e dieci minuti dopo gli esecutori tornarono dicendo: “Sono cose inspiegabili, ne abbiamo visto tanti… tutti temono la morte. Questi due invece sono morti contenti e queste ragazze non desiderano altro che morire…”.
Era il 25 febbraio 1930; le ragazze furono trascinate sulla montagna, restando in balia dei banditi per cinque giorni. Il 2 marzo i soldati raggiunsero il covo dei banditi, i quali dopo un breve scontro a fuoco, fuggirono lasciando libere le ragazze; che divennero preziose e veritiere testimoni del martirio dei due missionari salesiani, che avevano dato la vita per difenderle.
Papa Paolo VI nel 1976 li dichiarò ‘martiri’ e papa Giovanni Paolo II il 15 maggio 1983 li beatificò.
Autore: Antonio Borrelli